Recensione Resident Evil 7: biohazard

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I recenti trascorsi della saga Resident Evil sono tutt’altro che rosei. La deriva action imboccata dagli ultimi capitoli ha spaccato letteralmente in due la fanbase, dando voce ad una schiera di nostalgici che acclamano ancora oggi un ritorno ai vecchi tratti distintivi che tanto hanno reso gloria al brand. Con Resident Evil 7 Capcom si prefigge un obiettivo tanto ambizioso quanto non semplice: riportare la saga ai suoi albori, recuperandone gli stilemi classici più squisitamente horror ed innovandola al contempo profondamente, attraverso un cambio radicale di prospettiva. Ve lo vogliamo dire subito: la commistione di vecchio e nuovo in RE7 non solo funziona, ma riesce anche a conferire alla saga quella nuova linfa vitale di cui da tempo abbisognava.

Impersoneremo Ethan Winters, trentenne intento a cercare sua moglie Mia, ritenuta scomparsa da ormai tre anni. Sebbene le premesse narrative non siano certo tra le più originali, Resident Evil 7 riesce a proporci un racconto coerente e circoscritto, in cui ogni tassello figura al proprio posto, complice un lavoro di sceneggiatura dell’abile Richard Pearsey di indubbia qualità ed una natura stand-alone del plot certamente funzionale alla causa. Fughiamo subito qualsivoglia equivoco: i riferimenti alla saga sono presenti, da luoghi a personaggi, sebbene la vicenda sia in grado di sorreggersi da sola e non vi ruoti attorno.

Ad un incedere intriso di mistero e tensione si accompagna una struttura ludica fortemente vicina a quella dei primi capitoli del brand, svecchiata ed impreziosita nella formula dalla scelta di introdurre la visuale in prima persona. Il cambio di prospettiva accosta l’ultima fatica di Capcom a produzioni horror recenti di stampo indipendenti quali Soma o Outlast, scongiurando tuttavia la generale passività di queste opere dovuta all’impossibilità di affrontare direttamente i nemici. Questo connubio si rivela, a conti fatti, il maggior punto di forza del titolo, capace di mantenersi ancorato alla tradizione della saga, ma sapendo al contempo svecchiarsi ed innovarsi intelligentemente, attingendo dalle riuscite moderne produzioni del genere.

Troveremo elementi distintivi come le tanto care erbe verdi, un baule dove depositare oggetti molto prezioso per la gestione del nostro limitato inventario ed un mangianastri per salvare i dati in apposite e sicure aree. Anche gli ambienti di gioco e la loro struttura richiamano non troppo velatamente le origini della serie, con Villa Baker che saprà in più di qualche occasione farvi tornare alla mente la tanto amata – e agognata – Villa Spencer del primo storico capitolo. Porte che richiedono una specifica chiave per essere aperte e puzzle ambientali legati alla ricerca e raccolta di specifici oggetti vi costringeranno a quell’altrettanto distintivo backtracking che non risulta mai noioso o frustrante grazie ad una dinamicità e varietà studiata di situazioni che sapranno cogliervi di sorpresa.

Il ritmo di Resident Evil 7 risulta volutamente compassato e capace di generare quella costante tensione che sancisce in maniera pressoché definitiva l’abbandono di qualsiasi istanza action. Le armi – presenti in discreto numero – non eccedono in efficacia, e le risorse a nostra disposizione non saranno mai copiose, in special modo se affrontiamo l’avventura in modalità manicomio. Questa è sbloccabile dopo aver completato una prima run, ed è capace di offrire la vera esperienza survival, attraverso salvataggi limitati e nemici decisamente più coriacei e numerosi, a dispetto di una difficoltà per la verità tutt’altro che proibitiva ai livelli precedenti, tanto nei combattimenti quanto negli enigmi.

Per varietà dei nemici il titolo non brilla di certo, ed escluse le boss fight, le tipologie di creature fungine si riducono ad una manciata. Esse, tuttavia, sono realizzate con estrema cura; dalle fattezze morbose e viscerali, sono in grado di inorridire, merito anche di una loro studiata collocazione all’interno degli ambienti di gioco.

Se l’esplorazione si configura già come un elemento portante del titolo per il proseguo della vicenda, ad arricchirla ulteriormente troviamo dei collezionabili che ci spingeranno ad esplorare a fondo ogni area. Abbiamo delle monete antiche da poter spendere per ottenere potenziamenti o qualche arma speciale, i documenti che ampliano la prospettiva narrativa e delle simpatiche statuine da scovare e distruggere. L’avventura vi richiederà tra le 10 e le 12 ore per essere completata ad una prima passata, ma lo sblocco della modalità manicomio e di qualche spassosa feature per le armi – che vi lasciamo il piacere di scoprire – offrono una discreta rigiocabilità.

Dal punto di vista tecnico c’è poco da dire: il RE Engine svolge un lavoro egregio, senza tentennamenti o sbavature di sorta. La prevalenza di ambienti chiusi aiuta, e non è un caso che gli elementi meno definiti si riscontrino proprio nelle aree aperte, nella vegetazione all’esterno della tenuta o in qualche raro elemento di contorno. Anche a livello sonoro il lavoro svolto è encomiabile, con un sound ambientale angosciante ed una gestione dei volumi di livello, capaci di scaraventarci addosso i momenti topici.

Commento Finale

Resident Evil 7 è un titolo decisamente riuscito. Capcom ha fatto centro, costruendo un’avventura dai toni e dalla struttura convincenti, capace di rendere omaggio sia al glorioso passato della saga che alle moderne esigenze ludiche e stilistiche del genere. La scarsa varietà dei nemici e qualche lieve imprecisione tecnica non intaccano la qualità di una produzione che, ora possiamo dirlo, è tornata alla luce e agli albori di un tempo. Welcome Back, RE!

Pro

  • Cambio di prospettiva riuscito e funzionale
  • Atmosfera convincente
  • Stile e struttura degli ambienti di gioco alla Resident Evil
  • Tecnicamente solido

Contro

  • Scarsa varietà dei nemici
  • Qualche elemento di contorno poco definito
8.8

Buono

Inseguo spasmodicamente tutto ciò che possa trasmettermi emozioni. Leggo, scrivo, gioco e osservo, sempre con curiosità e senso critico. Faccio cose meravigliose.